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Una canzone non fa di un artista un delinquente: la censura fa schifo

di Giulia Di Leo

Junior Cally è violento, perché canta la violenza. Un sillogismo di facile comprensione, peccato che non sia ragionevole. Perché giudicare una persona dalla sua libera espressione artistica è più amorale degli oggetti criticati. Soprattutto quando l’arte serve per denunciare ciò che avviene nel mondo reale e che da sempre un linguaggio forte e aspro come il rap sceglie di raccontare.

Antonio Signore, classe ’91, da bambino ha convissuto per quattro anni con la paura di morire per un’errata diagnosi di leucemia. Da lì il desiderio di evadere e la creazione di un alter ego, Junior Cally appunto. Dietro la maschera, antigas prima e quella ingioiellata poi, si celano insicurezze e urla di dolore. Non solo: c’è anche la descrizione di un mondo crudo, non perché lui lo difenda, ma perché ne vuole criticare la cattiveria. Questa premessa non vuole giustificarlo, sia chiaro, sfruttando il suo passato drammatico, ma informare chi ancora non lo conosce. Perché la maggior parte degli italiani – al contrario dei teenager – non sapevano chi fosse fino all’annuncio della partecipazione al settantesimo Festival di Sanremo, ma si sono comunque pronunciati perché inserirsi-nel-dibattito-sulla-violenza-contro-le-donne-è-giusto.

La scorsa settimana è scattata la polemica contro un brano di Junior Cally pubblicato nel 2017, “Strega”. La critica veniva da Red Ronnie che ripescava un articolo di Grazia Di Michele. Secondo il conduttore televisivo «Junior Cally non deve salire sul palco di Sanremo, dobbiamo proteggere non più i nostri ragazzi ma i nostri bambini!». Il motivo? Un testo forte e volgare che può facilmente istigare alla violenza contro le donne. Questo perché ci si è limitati a giudicarlo da alcune frasi estrapolate e non dal contenuto complessivo. Il brano usa sicuramente toni forti (non estranei al rap), ma vuole parlare per immagini. La metafora è quella dell’artista che attraverso la propria musica uccide il mondo che lo circonda e che reputa indegno: per questo la ragazza in video, per andar contro allo stereotipo della donna oggetto.

Ciò che di tutto questo polverone mediatico fa sorridere è la pretesa che la musica debba avere un intento pedagogico (al posto di famiglie, scuole, Stato e corretta informazione), che ciò che si canta abbia lo stesso valore di una confessione in tribunale e che la storia della canzone italiana non abbia esempi passati simili a “Strega”, dove per simili si intende l’uso di espressioni volgari ed espliciti e non un’istigazione alla violenza. Perché come pensiamo non sia contenuta nel brano di Junior Cally, non possiamo nemmeno dire lo sia nelle canzoni che ora andiamo a citare.

Quello che ci interessa evidenziare è una regola giustamente rispettata in passato e ora apparentemente dimenticata e per farlo citiamo alcuni casi di testi violenti, misogini e volgari che non hanno mai proibito ai loro interpreti e autori di presentarsi sul palco dell’Ariston. E paradosso vuole che non si tratti di brani appartenenti al rap, un mondo musicale che fa della violenza verbale lo strumento cardine di denuncia.

Marcella Bella arriva per la prima volta sul palco dell’Ariston nel 1972 con la celebre “Montagne verdi”, nel 1977 con “Abbracciati” e nel 1981 con “Pensa per te”. La sua “Violentami Miao” del 1983, però, non le impedisce di tornarci altre sei volte. Eppure il testo è tutt’altro che femminista: «Sto ferma se vuoi, brutale o no, non ti assalirò. Ti prego, ricordati che non sono un maschio. Oh no? E allora violentami violentami, violentami, violentami miao».

Viola Valentino nel 1979 in “Comprami” canta «Comprami, io sono in vendita, ma non mi credere irraggiungibile, ma un po’ d’amore, un attimo, un uomo semplice, una parola, un gesto, una poesia, mi basta per venire via». Anche lei nel 1982 partecipa senza problemi al Festival con “Romantici”; e poi ancora, nel 1983 torna al Festival di Sanremo con “Arriva arriva”.

Jo Squillo approda alla kermesse sanremese nel 1991 in coppia con Sabrina Salerno (presente quest’anno tra le donne co-conduttrici) con la canzone “Siamo donne”. Se il pezzo inneggia a un femminismo convinto perché “oltre le gambe c’è di più”, appena dieci anni prima la cantante non ne è così convinta. In “Violentami”, infatti, scrive: «Mentre aspetto alla fermata, sembra buia la giornata, ho un po’ paura, agitazione per i cavi ad alta tensione, violentami, violentami piccolo, violentami, violentami sul metrò».

Nel 1979 Franco Califano in “Avventura con un travestito” canta: «Ma quanno je ‘nfilai la mano sotto, cò la violenza che c’ha solo un matto, restai de ghiaccio, ‘n mezzo a quelle cosce, la mano mia acchiappo’du cose mosce. mai viste così grosse in vita mia, dù palle come li mortacci sua». Un testo molto esplicito e oggi forse al limite della censura. Questo non gli vieta di andare sul palco dell’Ariston nel 1988 con “Io per le strade di quartiere”, nel 1994 con “Napoli”e nel 2005 con “Non escludo il ritorno”.

Lucio Dalla partecipa per la prima volta al Festival nel 1966 con “Pafff…bum!” e l’anno seguente con “Bisogna saper perdere”. Poi ancora nel 1971 con“4/3/1943” e nel 1972 con “Piazza Grande”. Infine, nel 2012 in duetto con Pierdavide Carone con “Nanì”. Risale a prima dell’ultima partecipazione la sua “Disperato erotico stomp” in cui nel 1977  canta «Ti hanno visto bere a una fontana, che non ero io. Ti hanno vista spogliata la mattina, birichina biricò… prima di salir le scale mi son fermato a guardare una stella. Sono molto preoccupato il silenzio m’ingrossava la cappella». Eppure nel 2012 non gli viene, giustamente, negato il ritorno al Festival.

Esattamente 25 anni fa Marco Masini insulta una “Bella stronza” tra i versi di una delle sue più celebri canzoni. E più precisamente: «Esci dai tuoi pantaloni mi accontento, come un cane degli avanzi, perché sei bella, bella, bella. Mi verrebbe di strapparti quei vestiti da puttana e tenerti a gambe aperte finché viene domattina. Ma di questo nostro amore così tenero e pulito non mi resterebbe altro che un lunghissimo minuto di violenza e allora ti saluto, bella stronza». Oltre alle prime due partecipazioni al Festival nel 1990 con “Disperato” e nel 1991 con “Perché lo fai”, tornaanche dopo la sua “follia da stupratore” nel  2000 con “Raccontami di te”, nel 2004 con “L’uomo volante” (canzone vincitrice di quell’edizione), nel 2005 con “Nel mondo dei sogni”, nel 2015 con “Che giorno è” e nel 2017 con “Spostato di un secondo”.

«La voglio come Biancaneve coi sette nani, noiosa come una canzone degli “Intillimani”, voglio una donna con la gonna/Prendila te quella col cervello, che s’innamori di te quella che fa carriera, quella col pisello e la bandiera nera». Sono frasi tratte da “Voglio una donna”, brano del 1992 di Roberto Vecchioni. Stranamente il “poeta”, com’è da tutti venerato, non finisce di essere ammirato dal popolo italiano e, soprattutto, non viene mai escluso dal Festival. A Sanremo va nel 1973 con “L’uomo che si gioca il cielo a dadi” e vince nel 2011 con “Chiamami ancora amore”.

Infine, tra i tanti incompresi di Sanremo c’è Vasco Rossi, arrivato penultimo nel 1983 con “Vita spericolata” (dopo la partecipazione nel 1982 con “Vado al massimo”). Entrambe le comparse in gara arrivano dopo la pubblicazione di “Colpa d’Alfredo” del 1980, dal testo poco educato: «Ho perso un’altra occasione buona stasera. È andata a casa con il negro, la troia. Colpa di Alfredo che con suoi discorsi seri e inopportuni mi fa sciupare tutte le occasioni. E prima o poi lo uccido […] E lei invece non ha perso tempo […] E quella stronza non si è neanche preoccupata».

(Ops, 3 donne contro 5 uomini, non sono state rispettate le quote rosa)

Per rispondere in anticipo a “non paragoniamo questo-ragazzino-che-nessuno-conosce ai big della musica italiana”, precisiamo che il paragone non è sulla qualità dei singoli artisti e sul loro futuro successo. Se Junior Cally vivrà di musica per altri venti-trenta-quarant’anni a noi non è dato sapere e nemmeno deciderlo in questa sede. Semplicemente ci teniamo a sottolineare l’ipocrisia di una generazione che nel ’68 inneggiava allo sdoganamento di norme e costumi, ascoltando Vasco e Jimi Hendrix.

La critica mossa da Red Ronnie si è immediatamente contraddetta da sola con l’attacco ai Pinguini Tattici Nucleari cui ha risposto il sindaco di Bergamo – città d’origine della band – Giorgio Gori, che in un parallelismo nomina proprio i due rocker sopra citati e che su Facebook ha preso le loro difese: «“Irene” è una bella canzone d’amore, non la minaccia di sfregiatore pazzo o di un terrorista rosso […] Da quando in qua l’arte (e il repertorio) si giudica col criterio della morale?». I Pinguini hanno fatto seguito sul loro profilo Instagram semplicemente autocitandosi: «Irene non fidarti mai dei testi delle mie canzoni, soprattutto di quelle da parafrasare che sono le peggiori». Ironia della sorte: Red Ronnie condivide il post di Gori scusandosi per i Pinguini, lo stesso post che difende anche Cally sulla scia degli esempi passati tanto amati dal conduttore.

Ora per non diventare troppo tediosi, evitiamo in questa sede di approfondire l’argomento fiction in videogame, serie tv e film, perché ci sarebbero molti altri esempi di possibili fruizioni fuorvianti per i giovani. Peccato che siano i ragazzi stessi a capire la differenza tra denuncia per esorcizzare e istigazione alla violenza. Lo dimostrano i fan scesi in campo per difendere Junior Cally, innocui nella vita esattamente come il loro pupillo.

Morale? Ora la possiamo fare. Una canzone non fa di un artista un delinquente, non induce alla violenza (a meno che il pubblico non lo sia già di natura e allora saranno i genitori a doversene preoccupare) e non ne può determinare l’intera carriera.

Quindi basta col moralismo da quattro soldi (è proprio il caso di dirlo), perché Junior Cally ha l’unica colpa di aver descritto nei propri testi il mondo reale che si trova al di fuori dell’Ariston. Che il mondo elitario smetta di puntare il dito contro la periferia di “poco valore” e inizi a concentrarsi sul comunicare un messaggio in maniera corretta. Perché, giusto per chiarire, la censura non è mai la soluzione.

Dulcis in fundo – ora per davvero – è convinzione della sottoscritta il fatto che questa polemica, come tutte le altre pre-Sanremo, sia stata architettata ad hoc per parlare del Festival prima del Festival. L’anno scorso capitava ad Achille Lauro che promuoveva la droga, a Mahmood che era un immigrato. Entrambi hanno registrato successi nel corso del 2019 e non hanno perso fan, anzi ne hanno conquistati di più, non solo tra i giovani.

Per combattere tutto questo, invece di boicottare Sanremo dovremmo boicottare le polemiche prima di Sanremo. Ma ancora una volta chi scrive non ce l’ha fatta. Sarà il proposito 2021, forse.

Commenti

  • rispondi
    MAURO
    29 Gennaio 2020

    IN PARTICOLARE: L’arte precorre il cambiamento, ma in senso evolutivo. Anticipa il progresso, non arretra.

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