Contenuti imperfetti e autenticità: la fine dell’estetica patinata nel digital marketing

I contenuti “perfetti” funzionano ancora?

Per anni, il marketing digitale ha puntato su immagini impeccabili, copy levigati e feed ordinati al pixel. Ma oggi, qualcosa è cambiato. Sempre più utenti – soprattutto quelli più giovani – reagiscono meglio a contenuti che sembrano meno rifiniti, più spontanei, più veri. Ma perché? E cosa significa davvero “imperfetto” in comunicazione?

L’autenticità è diventata una richiesta, non solo una moda.

Quello che chiamiamo oggi “contenuto imperfetto” non è sinonimo di sciatteria o mancanza di strategia. Al contrario, è una risposta diretta a un bisogno crescente di realtà. I social hanno moltiplicato i contenuti, ma anche la stanchezza verso quelli eccessivamente costruiti. L’estetica “patinata”, perfetta ma distante, genera disconnessione. Il pubblico non vuole più solo guardare: vuole riconoscersi.

Ti è mai capitato di scorrere su Instagram o TikTok e fermarti su un video girato in verticale, con audio ambientale, magari con una luce non perfetta, ma capace di trasmettere qualcosa di sincero? Quello è un contenuto che parla la lingua dell’autenticità. È lì che scatta la fiducia.

Questo vale anche per i brand? Sì, soprattutto per loro.

Negli ultimi anni, diversi marchi hanno riscritto il modo in cui si presentano online. Marchi come Glossier, ad esempio, hanno costruito interi ecosistemi visivi e narrativi partendo da contenuti generati dagli utenti, quasi mai perfetti, ma coerenti, reali, identitari.

Duolingo, con il suo profilo TikTok ormai iconico, ha abbandonato qualsiasi costruzione patinata a favore di video ironici, a volte volutamente “goffi”, ma perfettamente in linea con il suo tono di voce giocoso e informale.

Oppure pensa a Spotify, che attraverso le campagne “Wrapped” permette agli utenti di raccontare se stessi senza filtri, lasciando che siano le loro abitudini di ascolto a parlare. Il risultato? Un’esplosione virale di condivisioni, anno dopo anno.

La chiave è la coerenza, non la perfezione.

Ma attenzione: creare contenuti “imperfetti” non significa improvvisare. Significa scegliere di comunicare in modo più vicino al proprio pubblico, senza nascondere le imperfezioni. Il contenuto che funziona è quello che rispetta il tono di voce del brand e i valori che lo rappresentano. L’errore più comune? Imitare l’imperfezione senza un perché.

Autenticità non è semplicemente “mostrare tutto” o “essere grezzi”, ma trovare una forma di espressione coerente con ciò che sei e con chi ti sta ascoltando. È una questione di intenzionalità e ascolto.

E le aziende più strutturate? Possono davvero permetterselo?

Anche i grandi brand stanno imparando ad adattarsi. Pensiamo alla recente strategia social di Nike, che alterna contenuti patinati a storie quotidiane raccontate da persone comuni.

O ancora IKEA, che ha prodotto contenuti per TikTok girati direttamente dai propri dipendenti, senza set, senza attori, solo vita reale e prodotti in uso. Il messaggio non è “siamo perfetti”, ma “siamo con te, nelle cose semplici di ogni giorno”.

Il marketing imperfetto non è meno strategico. È solo più umano.

E questo vale anche per chi comunica a livello locale, per freelance, piccole attività o progetti editoriali. Mostrare il dietro le quinte, raccontare l’intuizione prima della realizzazione, condividere una scelta o un errore spiegandolo: tutto questo non indebolisce il brand, lo rafforza.

Perché chi sta dall’altra parte non cerca un marchio perfetto, ma qualcuno che sappia entrare in relazione.

Stiamo andando verso una comunicazione dove la fiducia vale più del filtro, la personalità più della precisione, il contesto più del controllo.

La vera sfida? Trovare la propria “imperfezione credibile”. Quella che ti distingue senza sforzarti di essere ciò che non sei.

E tu, nella tua comunicazione, stai ancora cercando di essere perfetto… o stai già iniziando a essere autentico?

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